BRINDISI – La partita del gas è una faccenda molto complessa, e non si gioca solo a Brindisi, città che pure potrebbe nel giro di qualche anno diventare uno dei più importanti terminali italiani del metano. Sia con la realizzazione del Tap, il Trans Adriatic Pipeline della joint-venture tra Egl, Statoil e E.os, progetto di condotta sottomarina Albania-Italia non avversato dagli ambientalisti e dalle istituzioni (soprattutto dopo la decisione di localizzare il punto di sbarco nella zona industriale e non più a Sbitri), sia con il contrastato progetto di rigassificatore della British Gas a Capo Bianco.
C’è una mina lungo il percorso, ed è quella del no deciso delle amministrazioni locali in Umbria e Marche al percorso appenninico del nuovo gasdotto Snam, denominato Rete Adriatica, la nuova arteria vitale di collegamento con le centrali di smistamento al Nord, e quindi di immissione nella rete europea. Fare arrivare in Europa agevolmente il metano dei giacimenti del Caspio, evitando gli instabili Balcani, è il progetto strategico di Tap. Mentre British Gas è l’unica grande compagnia a non avere un proprio terminal in Mediterraneo ed ha sempre maggiore urgenza di chiudere a proprio favore la partita di Brindisi, per mettere sul mercato il metano dei propri giacimenti egiziani. L’indotto brindisino del rigassificatore, dicono dal fronte del no, è solo propaganda.
Tuttavia oggi le Province di Perugia e di Pesaro-Urbino, assieme ai comitati di cittadini e alle associazioni ambientaliste, hanno presentato ricorso alla Commissione Europea “affinché valuti la rispondenza alle normative comunitarie in materia di valutazione ambientale del gasdotto Rete Adriatica. Coinvolti anche i ministeri competenti e i presidenti delle Regioni interessate dal tracciato (Puglia, Campania, Basilicata, Molise, Abruzzo, Umbria, Marche, Toscana, Emilia-Romagna)”. Secondo i ricorrenti, quello del gasdotto appenninico è “un progetto di grandissimo impatto ambientale in territori di grande fragilità, geologica, sismica, ambientale paesaggistica e di conseguenza sociale ed economica. L’autorizzazione alla realizzazione e all’esercizio dell’opera deve pertanto – sostengono gli autori del ricorso alla Commissione Ue – deve essere assoggettata a preventivo e vincolante procedimento di valutazione ambientale strategica (Vas)”.
Le due Province e gli altri firmatari del ricorso considerano ”sorprendente che tra le criticità prese in esame non figuri affatto il rischio sismico: il gasdotto si snoda lungo le depressioni tettoniche dell’Appennino Centrale storicamente interessato da un notevole tasso di sismicità, – si legge nella nota di accompagnamento – con eventi anche di magnitudo elevata, come il terremoto del 6 aprile 2009 che ha colpito L’Aquila e molte altre località dell’Abruzzo, e il terremoto del 26 settembre 1997 che ha colpito l’Umbria e le Marche. Nel tratto relativo all’Abruzzo, Lazio, Umbria e Marche, su 28 località attraversate dal metanodotto, 14 sono classificate in zona sismica 1 e 14 in zona sismica 2. Anche la centrale di compressione, localizzata a Sulmona, ricade in zona sismica di primo grado”.
La guerra di alcune amministrazioni locali marchigiane e umbre al percorso del gasdotto adriatico, che deve aumentare la capacità di trasporto di gas della rete Snam dura da molti mesi, e contraddice la semplicistica raffigurazione che il governo Berlusconi fa dell’Italia come piattaforma energetica per l’intera Europa rispetto ai flussi di gas ed elettricità dall’Europa dell’Est e dal Medio Oriente, non considerando le criticità e gli equilibri ambientali del nostro Paese.
Marcello Orlandini
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